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Noi, gli eroi

+ d'infos sur le texte de Jean-Luc Lagarce traduit par Margherita Laera
mise en scène Valentino Villa

Distribution

Présentation uniquement disponible en italien

Nous, les héros

Note di regia

Molte persone vivono nel timore di subire un’esperienza traumatica:i freaks sono nati con il loro trauma, hanno già superato il loro test, sono degli aristocratici
Diane Arbus

Noi, gli eroi mette in scena degli attori che sono prima di tutto uomini meschini e sublimi: sono esseri smarriti, esiliati, spossati, al limite della sopravvivenza e consapevoli di questo, ma ancora capaci, con pochi mezzi a disposizione, di fabbricare sogni, pensiero, poesia, con oggetti concreti o mentali spesso più vicini alla paccottiglia che all’arte. Noi, gli eroi assume una dimensione universale e filosofica fin dal primo narrare dei piccoli e grandi mali della nostra arte. Non è, quindi, un’ennesima pièce di teatro nel teatro. Come sempre in Lagarce si parla d’amore, della paura e dello spettro della vecchiaia, della malattia e della morte, della guerra che distrugge e gira intorno a noi. In ogni singola parola, quasi in modo maniacale, si percepisce l’amore incondizionato dell’autore per i personaggi, per gli attori, per l’ambiguità, per il verosimile, il non detto, per le quinte, le prove. E se non c’è molto spazio per il vero ma molto amore per il verosimile nel narrare la vita quotidiana di una compagnia di teatro mai si incontra, in questo come in tutti i testi di Lagarce, il desiderio di utilizzare le anacronistiche armi del realismo. Noi, gli eroi è un universo fatto di malinconia e umorismo. E Lagarce ci implora di posare uno sguardo malinconico e divertito sui suoi eroi. Ma di quali eroi si tratta? Di poetici disadattati che si battono contro i mulini a vento della vita e dell’arte e che lo fanno con le loro armi: goffaggine, bellezza, enfasi, dolore e incoscienza. Ne risulta un quadro intimista ed epico allo stesso tempo. E se la letteratura contemporanea sembra aver rinunciato alla possibilità di narrare grandi storie di piccoli esseri umani in forma epica, Lagarce, negli anni ottanta del secolo scorso, regala agli attori e agli spettatori una nuova epopea. Un omaggio all’eroismo dell’umanità che vive sradicata fra cielo e terra, tra le sue necessità ed aspirazioni. Noi, gli eroi, sia detto per inciso, è un palinsesto. Sono innumerevoli citazioni dai diari di Franz Kafka che danno vita al nostro testo. E se la citazione è “la più potente figura postmoderna” Lagarce la usa per iniettare il suo personale mondo nell’universo di un altro artista. Compiendo quindi un gesto di radicale modernità. Le citazioni servono inoltre a seminare silenziosamente alcuni indizi storici e culturali. L’azione si svolge da qualche parte in Europa centrale. E la guerra che si prepara intorno ai nostri eroi potrebbe essere la prima guerra mondiale o la seconda o, ancora meglio, per rimanere fedeli allo stile di Lagarce, ‘una guerra, tutte le guerre’. La diversità di questa comunità che sceglie di consumare la vita nell’arte, i veri freaks del terzo millennio, i mostri, l’alterità di questa comunità che la società contemporaneamente accoglie e rigetta trasformeranno questo gruppo di persone in una comunità perseguitata? L’incurabile malinconia che percepiamo nelle parole di Lagarce è generata dalla nostalgia della dimensione comunitaria così indebolita dagli attacchi di un’epoca di asfissiante dittatura della società? Ad alcune di queste domande abbiamo cercato di dare risposta, ad alcune ipotesi abbiamo cercato di dare vita. Rispettando il gusto di Lagarce per il non chiaro, per la sottigliezza, e la sua fascinazione per le zone d’ombra. La presenza degli intermezzi musicali, voluti dall’autore, la lingua che sembra trovare la sua vera natura e funzione in una continua definizione e ridefinizione di se stessa e di colui che parla e molti altri elementi più o meno evidenti testimoniano la spasmodica ricerca di Lagarce di una nuova forma di teatro che sia un dialogo amoroso fra comunità e comunità. La comunità che viene riconosciuta come intrusa aveva bisogno di una scena intrusa. Di qualcosa che fosse al posto giusto nel modo sbagliato. Ecco il perché di una scena nella scena. Di un contenitore nel contenitore. Anche lo spettatore viene obbligato ad occupare un posto non suo, un posto che spetterebbe agli attori. Il pubblico spia la vita, la vita degli attori. Così come, alcune volte, gli attori spiano il pubblico in sala per noia, per distrazione o per sapere se tutto procede secondo il previsto, se si sta facendo bene, se c’è qualcuno, in quel buco nero, che conferma la loro esistenza.

Valentino Villa

Calendrier

Première représentation référencée

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Le lundi 20 février 2012
Teatro Studio Eleonora Duse
Février 2012
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Du lun. 20/02/12 au dim. 26/02/12
Teatro Studio Eleonora Duse
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