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Ritratto di donna araba che guarda il mare

de Davide Carnevali

Écrit en 2013 - italien

Présentation

Noi Europei tendiamo spesso a definire i paesi dell’area mediterranea del Nord Africa “arabi”, così come abbiamo chiamato “primavera araba” le rivoluzioni progressiste di qualche anno fa in Tunisia, Algeria, Libia, Egitto. In realtà quella araba è una forma di dominazione culturale, che ha imposto nei secoli a questi paesi la lingua veicolare, declinata nelle sue varianti regionali, e una religione di stato. Nello stesso modo in cui, successivamente, la Francia ha imposto una lingua strettamente legata a un modello sociale, giuridico e soprattutto economico. Ma oltre all’arabo e al francese le popolazioni che abitano queste aree hanno parlato, e in molti casi conservano ancora, una lingua propria, più antica. Attraverso cui mantengono una propria identità culturale, pre-araba e pre-coloniale. Il termine “arabo” applicato a questo contesto geopolitico è quindi frutto di un errore. Il titolo dell’opera riflette questo errore, e in qualche modo la storia stessa, vista dal punto di vista di un uomo europeo, ammette la sua ignoranza e mostra l’approccio superficiale della prospettiva occidentale sulla questione nordafricana. Il problema del linguaggio è essenziale. L’Europa ha affermato la sua superiorità non solo imponendo una lingua e un modello culturale, ma anche costringendo la cultura dominata in una determinata definizione linguistica. Il rapporto tra le due sponde del Mediterraneo è metaforizzato qui nell’incontro tra un uomo europeo e una donna nordafricana. L’uomo si avvicina alla donna spinto da una curiosità che vedrà soddisfatta; la donna si avvicina all’uomo mossa da una speranza che non si realizzerà. Questo gesto di avvicinamento ha per ogni personaggio un valore differente e cambia il destino dei due protagonisti e dei fratelli della donna. L’uomo, l’europeo, è abituato a ottenere facilmente ciò che vuole, senza pensare al valore reale delle sue azioni e alle conseguenze del suo comportamento. Dal canto suo, la donna è attratta da ciò che l’uomo europeo rappresenta: una via di fuga possibile dal mondo in cui è nata e cresciuta. Ma è legittima questa fuga? O non ricade piuttosto anche la donna nello stesso errore di valutazione, nell’immaginare l’Europa come un posto migliore – sotto tutti i punti di vista – di quello in cui vive? Tra i personaggi si apre una lotta che è innanzitutto verbale, e che sottolinea la distanza tra esseri umani, culture e visioni del mondo differenti, a partire proprio dalla distanza linguistica. Il testo cerca questa tensione tra parola e immagine, tra detto e indicibile, tra il discorso chiaro e il ritmo sospeso della poesia. Per salvaguardare non solo quello che la parola dice, ma anche quello che non dice; non solo quello che è già scritto, ma anche quello che lo spettatore può immaginare. Quanto peso può avere un’azione? Cosa significa davvero un gesto? Qual è il senso reale di una parola? Questo è un testo sulla rinuncia ad approfondire la conoscenza dell’altro, dell’estraneo e dunque sull’incapacità di accettare e colmare le differenze culturali che dividono due mondi da sempre a stretto contatto, e da sempre così lontani. Un testo sulla sottile linea che separa l’amore e l’innamoramento, il giocare e il prendersi gioco, la seduzione e la dominazione, il donare e il desiderio di possesso. Ma anche un testo sull’incomprensione e l’errore che commettiamo quando pensiamo di conoscere qualcosa senza aver voluto, prima, accostarci veramente ad essa. E quindi senza averne compreso il reale valore.

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